Intervista a Marco Masetti
“A Terni ho trovato dei fratelli, lontani, ma con la mia stessa testa!“
L’amicizia con Marco Maria Masetti è di lunga data. Quando poi giri il mondo dietro le corse, spostandoti di circuito in circuito, condividendo trasferte fatte di gesti che con il tempo diventano abitudini, certe amicizie diventano anche speciali. Ravennate, giornalista, scrittore, commentatore televisivo, grandissimo conoscitore di tutto ciò che ha a che fare con le moto e molto altro ancora, Marco è senza ombra di dubbio una delle più belle penne in circolazione. Soltanto pochi giorni fa sul suo profilo facebook un post recitava cosi: “Nel 1998 venne pubblicato su Motosprint il primo episodio della saga Contromano. Da allora 20 anni e passa di motociclismo pensato, amato, scherzato, arrabbiato. Una rubrica pubblicata 50 volte l’anno, quindi un migliaio di volte, 2 milioni e ottocentomila battute. Un piccolo record nel mondo del giornalismo del quale vado molto fiero” Tra amici poi, succede che ci si rivolga l’un l’altro con un nomignolo, un soprannome e giusto per scansare il campo da equivoci io lo chiamo Maestro; su quello che invece lui usa con me, preferisco glissare. Io ad intervistare Marco proprio non mi ci vedo ma una bella chiacchierata ci può stare e cosi a Valencia, in occasione dell’ultimo appuntamento del Motomondiale, lungo il corridoio della sala stampa ci siamo presi dieci minuti di tempo e quello che leggerete di seguito ne è il risultato.
Allora Marco, di certo se a qualcuno nomini Terni, la prima cosa a cui gli viene di pensare non è probabilmente legata ai motori, alle corse ed a tutto ciò che ne consegue. A te, che tra l’altro la conosci abbastanza bene, cosa evoca?
“Terrore! Ricordo che nel 2002 Giampiero Sacchi mi convocò a Terni per fare la presentazione del Team Gilera al teatro Politeama. Il primo timore era legato alla voce perché non ero sicuro che avrebbe retto per le due ore previste e poi, svolgendosi tutto sul palcoscenico di un teatro appunto, c’era la buca del suggeritore ed io tra fogli in mano, ospiti e quant’altro, continuavo a giragli intorno con la paura di caderci dentro. Detto questo, anche se noi romagnoli siamo delle buone forchette, voi non scherzate per nulla ed uscire vivo da più di una cena non è stato per nulla facile. A parte gli scherzi però, a me Terni fa venire in mente una Città-stato come quelle che c’erano nell’antichità dove esisteva una propria tradizione che non si ritrovava nell’intorno. L’idea di piloti, di corse e di motori che avete voi mi fa pensare ad un pezzo di Romagna trasportato da un’altra parte. Io a Terni ho trovato dei fratelli, lontani, ma con la mia stessa testa. Mi diverte l’idea dell’acciaio perché io le moto le vedo cosi, fatte di metallo ed una città legata alla cultura dell’acciaio non poteva che costruire delle cose metalliche. Ciò che invece mi sorprende ancora oggi è il culto di Libero Liberati, un pilota che pur vincendo un mondiale ormai tanti anni fa, nel ’57 proprio quando io nascevo, rimane vivo e radicato nel quotidiano. Le comunità con un grande spirito di appartenenza hanno una forza differente che fa quadrato e che aiuta a superare anche i momenti più difficili; non sarà un caso che avete anche la Ternana, una squadra di calcio amatissima, quasi una religione per voi cosi come uno spirito identitario che colpisce. Poi mi piace anche molto l’idea che uno di Terni, Giampiero Sacchi, abbia fatto rinascere prima in Spagna e poi in Italia, un marchio storico come Gilera, legato alla tradizione e che sicuramente voi amate”
Tanta roba Marco … “E sai cosa mi piacerebbe anche?
Mi piacerebbe che ci fosse un’altra stagione, la terza, e cioè che dopo Liberati prima, l’epoca di Pileri, Sacchi eccetera poi, arrivasse un altro momento top, la terza fase del grande motociclismo ternano che comunque già esiste, perché avere un pilota in MotoGp non è cosa comune. Arrivare cosi in alto partendo da lontano come a fatto Danilo non è facile, vincere un gran premio poi, ed aggiungo in Italia, non è da tutti. Con un po’ di fortuna ed una annata meno strana di quella attuale, Danilo potrebbe rappresentare davvero il terzo rinascimento, il che sarebbe una cosa fantastica per una città come Terni”
Premesso che non è colpa mia se sei nato nel ’57 e che essendo un uomo maturo hai potuto vivere differenti momenti del motociclismo, cosa pensi sia cambiato negli anni? Si è perso qualcosa? “Secondo me è tutto uguale, soltanto declinato in maniera differente a seconda delle epoche. E’ chiaro che se guardi delle foto in bianco e nero di qualche anno fa, bellissime e delle quali sono molto appassionato, vedi persone totalmente prese da ciò che accade, tutti gli sguardi fissati, attenti, non distratti, cosa che oggi un po’ si è persa. Per il resto è tutto uguale. Se decidi di fare questo sport e pensi di essere forte, inizi dalle gare del paese fino ad arrivare al Motomondiale; ti devi sempre confrontare con altri piloti e dimostrare di essere più veloce di loro. C’è un fil rouge che non si è mai interrotto, una linea guida, e cioè che il motociclismo è uno sport dove ci vuole una gran passione, un grande spirito di sacrificio, ci si fa male e si spendono un sacco di soldi; diciamo che la componente illogica di questo sport è predominante ed è rimasta”
Ok, se il motociclismo però non è cambiato, la stessa cosa non si può dire del paddock.
“Si, il paddock è cambiato, sono cambiate le persone ed è cambiato l’ideale stesso. Adesso è un luogo dove si comunica e si fanno affari. Un posto dove i colori hanno una importanza fondamentale, dove tutto è studiato in maniera analitica ed ogni logo è posto in maniera di ottenere il miglior guadagno economico e non. Di certo si diverte infinitamente di meno e si cerca di monetizzare di più. La vera rivoluzione sarà quando qualcuno riuscirà a guadagnare divertendosi. Anche le notizie girano in maniera più veloce ma ti resta poco; una volta la permanenza della memoria era notevole. Il fatto che uno come Carletto Pernat con un libro che racconta di una vita caciarona vissuta nel paddock abbia avuto un grande successo, mi fa pensare che questo sia il genere meno studiato e proposto ed è quello che si è perso. Oggi tutti si nutrono delle stesse cose e per fortuna che ci sono gli italiani perché altrimenti sarebbe triste anche mangiare”
Ieri abbiamo assistito all’addio alle competizioni di Jorge Lorenzo. Tu di Campioni ne hai conosciuti tanti, qual è quello che ti ha lasciato dentro un qualcosa di diverso?
“Sono davvero tantissimi e non ne ho uno in particolare. Di Lorenzo per esempio ricordo una cosa: ad Estoril nell’ultimo curvone che immette nel rettilineo, e dove ci vuole un pelo incredibile per farlo a gas aperto, c’è una gabbia per un solo fotografo ed i piloti ti passano ad un metro e mezzo di distanza. Lui ha sempre utilizzato delle visiere chiare e potevo vedergli chiaramente gli occhi; non li chiudeva mai. Seguire quella linea perfetta senza perdere tempo neppure per un battito di ciglia mi ha sconvolto. Poi mi posso innamorare della imperfezione di altri piloti o del modo di fare che aveva Stoner che, a salire sulla moto, era sempre straconvinto di andare comunque più forte di tutti gli altri oppure, di come al passare degli anni Rossi se ne strasbatta altamente e continua a correre perché si diverte e perché si considera un capobranco. Un intossicato di questo mondo cosi come lo siamo noi che qualche volta scomodiamo anche qualche Santo, ma siamo sempre qui”
A proposito di Valentino, quando appenderà il casco al chiodo cambierà qualcosa in questo mondo?
“Assolutamente no, non cambierà nulla. Le generazioni sono già cambiate e nel giro di due anni vedremo in MotoGp un ricambio di piloti quasi totale che ridisegnerà questo mondo. E’ una questione di equilibri. Valentino è stato ciò che Marquez è adesso, IL PILOTA DI UN’EPOCA tutto scritto in maiuscolo, però sotto c’è tanta gente forte. Ciò che è cambiato è il livello medio: c’è un fuoriclasse ma tutti gli altri fanno davvero paura. Adesso sono macchine da guerra e grandi professionisti ed il margine di errore è minimo. Una cosa che invece non mi piace è l’appiattimento tecnico. A me quando hanno messo l’alesaggio a 81 mi hanno ucciso. La mia filosofia di moto è differente, questa mancanza di tecno-diversità mi manca. Quando arrivava un tedesco con una BMW e gli chiedevi perché i cilindri li mettesse cosi e gli inglesi in verticale, ti rispondeva perché ognuno ha le sue idee e questo mi piaceva”
Sei un giornalista apprezzato e molti giovani magari vorrebbero ricalcare la tua carriera. Quali consigli gli daresti?
“La mia carriera è stata segnata dal caso che ha avuto certamente un aspetto predominante. Bisogna essere affidabili, puntuali e leggere, leggere tanto. Un giornalista che ha pochi vocaboli e poche idee dura poco. Parlare un inglese dignitoso è fondamentale, cosa che io quando ho iniziato avevo ma che dopo venticinque anni si è trasformato in quello del paddock, e poi essere curiosi, sempre. Questo non vuol dire andare alla ricerca dello scoop, magari finto, ma farsi spiegare le cose, capirle; io tutto quello che so su questo sport l’ho appreso dai piloti e dai meccanici. Quindi trovarsi delle fonti buone, non appiattirsi ed avere un pizzico di culo, cosa che non guasta mai”
Per ultimo: in moto tu ci vai ancora…
“Certamente, su qualsiasi moto. Ho fatto di tutto meno che lo speedway, senza il minimo talento ma con una grandissima passione. Mi piace la moto classica, che non chiamo d’epoca perché detto cosi mi fa pensare ad un lager, e le moto diverse le une dalle altre. Andare in moto e lavorarci sopra aumenta il tuo bagaglio culturale ed almeno quando vai al bar e ne parli ti dicono allora ne capisci, e quelle sono soddisfazioni!”
Perfetto, tutto chiaro! Grazie Maestro ci vediamo al prossimo GP …