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Interamna History – 32

Dal nero al rosso, dal fascismo alla Repubblica – seconda parte: Terni alla vigilia del 25 luglio ‘43

Nella foto Passavanti a sinistra DAnnunzio al centro e Incisa di Camerana a sinistra moglie bassa

Per meglio comprendere come Terni affrontò i tragici eventi successivi al 25 luglio del ’43 cosi come quelli ancora più drammatici del post 8 settembre, vale la pena ripartire da quella che era la situazione politica in città all’inizio del secolo scorso, facendo un breve excursus sino al periodo in oggetto. Innanzi tutto c’è da annotare come soltanto nel 1923 si assistette al primo Sindaco in Camicia nera che coincise con l’elezione del marchese Mariano Cittadini ma, nonostante questo, e come abbiamo sottolineato sullo scorso numero, continuava a mancare una figura di spessore capace di essere aggregante per tutte la varie anime fasciste esistenti. Una figura che si sperò potesse essere incarnata da Elia Rossi Passavanti, eroe di guerra pluridecorato, fiumano della prima ora e, al contrario di come certa storiografia suole dipingerlo, un non fascista per lo meno come normalmente è inteso esserlo nel comune senso della parola. Il Passavanti era infatti un italiano, un patriota, una persona lontana dalla politica e, a testimonianza di ciò, va ricordato come dal settembre 1943 al giugno 1944 partecipò attivamente alla lotta partigiana arruolandosi nel riorganizzato Reale Esercito del Regno del Sud, il cosiddetto Esercito Cobelligerante Italiano e per questo gli fu conferita la qualifica di partigiano combattente. La sua imposizione sulla scena politica ternana fu voluta direttamente da parte di Mussolini poiché l’eroe era ormai assiso alle cronache ed agli onori del tempo per le sue gesta, la sua popolarità era diventata molto ingombrante e, non per ultimo, poteva vantare una grandissima amicizia con il Vate. L’essere scelto però, fece scatenare le ire di chi, sul territorio, aspirava a ben altri lidi come Lufrani e lo stesso Sindaco Amati, poi dimissionario per protesta. Una parabola ascendente quella del Passavanti che, come abbiamo già visto, giungerà all’apice con la costituzione della Provincia nel ’36 ma che poi toccò il punto più basso quando in una commistione tra politica ed affari, si schierò per la rinegoziazione della convezione per lo sfruttamento delle acque, cosa che però arrivò a toccare ed intralciare interessi più grandi di lui. Conseguenza? Il partito umbro fu commissariato, venne inviato Achille Storace, numero due del PNF, e ad Elia Rossi Passavanti lo stesso Duce fece recapitare un messaggio con su scritto “Firma e vattene!”. In città era comunque ormai nata la fabbrica totale che pensava e gestiva tutto, la propaganda era fortissima ed il programma di fascistizzazione sembrava funzionare anche in ragione di un clientelismo e di un opportunismo neppure tanto latente e per lo più ben consolidato. Tutto questo vedeva altresì un opposizione quasi latitante, cosa che trova conferma anche nei numeri che non sembravano essere così incoraggianti; nel 1927 gli iscritti nella provincia ternana al PCd’I,il Partito Comunista d’Italia,erano appena 50 e nel ’30 si limitarono a 17, il che rappresentava una quantità nettamente inferiore rispetto agli oltre 300 che si erano registrati nel 1925 quando il partito aveva potuto contare anche con una cellula all’interno della Terni che da sola ne vedeva in essere ben 57. Una situazione che comunque accumunava tutta l’Umbria e che non vedeva la nostra città essere una eccezione. Il regime fascista, ed a ragione, iniziava ad essere visto come negazione della democrazia; nel ’24 era stato assassinato Giacomo Matteotti, un omicidio del quale nel gennaio dell’anno successivo, di fronte alla Camera dei Deputati, il Duce si assunse direttamente la responsabilità politica, morale e storica rispetto al clima nel quale lo stesso delitto era stato compiuto. Incomincia ad evidenziarsi un malcontento che inevitabilmente si scontra contro la grande macchina propagandistica e chi vuole lottare contro il fascismo lo fa ma, per lo più, sono anni di azioni solitarie, non coordinate e con effetti per lo più sterili. Questa era la situazione che si respirava a Terni che comunque, e nonostante tutto, quando furono ritrovati in città dei volantini a sostegno della Spagna rossa impegnata nella guerra civile, fu capace di generare intorno a se una certa eco anche all’estero. L’attenzione su questi fatti da parte dell’OVRA, la polizia segreta  operante tra il 1927 ed il 1943 e poi successivamente sia nel periodo badogliano che nella Repubblica Sociale Italiana  a partire dal 1943 sino al 1945, fu molto alta ed a farne le spese sono alcuni attivisti locali come Remo Righetti, Vincenzo Inches, Giuseppe Bravetti e Pietro Lello. Situazioni queste che ricaddero pesantemente, ed in maniera negativa, sulle attività di lotta clandestina causandone anche un rischio di paralisi. Di contro invece, gli iscritti al PNF aumentano a dismisura grazie appunto anche al grande e strutturato apparato di propaganda messo in campo dal regime. Non bisogna essere ipocriti ed accettare la realtà per come era percepita, una realtà dove la militanza politica poteva costituire una necessità e la stessa tessera del partito un modo per vivere tranquilli ed accedere al mondo del lavoro. Ed era proprio in quest’ottica che anche molti dissidenti e sovversivi simularono la loro adesione al fascismo. Insomma, in questo clima bisognerà attendere l’inizio del ’43 per assistere ad una sorta di risveglio antifascista nel ternano. Ci torneremo più avanti ma neppure dopo il famoso 25 luglio le cose cambiarono radicalmente cosa che invece avverrà all’indomani dell’8 settembre a causa della sconfitta militare, dei bombardamenti e di altri fattori contingenti. Nelle prossime uscite affronteremo anche la Questione ebraica,un tema complesso che al pari di tutta Italia era molto sentito anche a Terni. Tornando alla lotta clandestina antecedente, mentre a Milano e Torino scattano gli scioperi, in città l’organizzazione comunista non riesce a trascinare gli operai in strada neppure nella ricorrenza del I° maggio. Entrando nello specifico, una tra le differenti cause di questa situazione risedette negli attriti interni allo stesso partito o, meglio ancora, nella interpretazione della linea politica dettata dal Comitato centrale che portò addirittura alla formazione di due differenti fazioni con la formazione di due differenti Comitati federali locali guidati l’uno da Vincenzo Inches e l’altro da Alfredo Filipponi, figura centrale rispetto alla Resistenza ternana sulla quale torneremo in maniera approfondita, che giunsero persino a sconfessarsi a vicenda. Fu necessario l’invio di un funzionario del PC che con una azione di mediazione fu capace di riunificarle dando via a quell’opera di riorganizzazione che in ogni caso venne da subito vanificata a causa del  bombardamento dell’11 agosto del ’43 capace di causare un forte esodo della popolazione. In pratica, per tutto il periodo badogliano il gruppo dirigente non fu in grado di creare un legame con l’apparato centrale, perdendo così tempo e opportunità preziose. La Direzione nazionale però non nutriva dubbi sull’importanza politica e militare di Terni. In una riunione tenutasi il 3 settembre in un casolare a Campitelli, Gino Scaramucci rivendica per se la direzione politica demandando quella militare ad Alfredo Filipponi. Comunque, in considerazione del periodo e delle circostanze, l’adesione al partito è ancora esigua: Filipponi nel suo Diario parla di circa 250 iscritti, Scaramucci ne conta appena 100; in ogni caso una percentuale irrisoria se comparata al numero degli operai e che comunque ne vede pochi vantare una posizione attiva nella resistenza antifascista ed antitedesca. E’ ancora lo stesso Filipponi a scrivere, siamo nel febbraio del ’44, di come la classe operaia ternana fosse assente dalla lotta cosi come Celso Ghini, in una relazione inviata al Comitato federale, sottolinea il fatto che “… Gli operai ternani non sono come quelli settentrionali.”Dopoil 25 luglio del 1943 con il gli avvenimenti postumi alla caduta del governo fascista, l’arresto di Benito Mussolini e la conseguente nomina a Capo del Governo del Maresciallo Pietro Badoglio, si venne a creare una situazione molto confusa con dei risvolti chiaramente ambigui. In un ogni caso non fu la fine del fascismo che in poco tempo si ripropose nella nuova veste rappresentata dalla Repubblica Sociale Italiana, la RSI, al cui vertice siederà sempre lo stesso Mussolini. Senza entrare nello specifico, esiste una bibliografia infinita sull’argomento, giusto per citare un esempio tra tanti che può aiutarci a capire il momento, basta pensare che il governo Badoglio conservò in vita l’OVRA, il più importante strumento repressivo fascista. Allo stesso tempo, dopo aver sciolto il Partito Nazionale Fascista, sempre il Governo Badoglio vietò la costituzione di altri nuovi partiti per tutto il perdurare della guerra così come sciolse la Milizia che però entrò a far parte delle Forze Armate insieme agli agenti di PS. In pratica trasferì ai comandanti dei Corpi d’Armata e di Difesa Territoriale la totale tutela dell’ordine pubblico. L’annuncio fatto lo stesso 25 luglio in cui comunicava che “La guerra continua poiché l’Italia mantiene fede alla parola data, gelosa custode delle Sue millenarie tradizioni”, altro non rappresentò che un tentativo di evitare le reazioni tedesche e negoziare un armistizio con gli Alleati che però, adirati da una non ben precisa presa di posizione, iniziarono da subito un bombardamento a tappeto sulle principali città italiane per costringere Badoglio alla resa tramite l’azione terrorizzante sulle popolazioni che, nelle intenzioni del comando anglo-americano, di fronte a tutto questo avrebbero dovuto sollevarsi contro gli stessi fascisti e tedeschi. Roma, Milano, Torino, Bologna, Verona, Napoli, Bari e molti altri centri, furono fatti oggetto di incursioni violentissime e tragiche dove chi ne pagò le spese fu appunto, e principalmente, la popolazione civile. Incursioni diurne e notturne dove non solo i bombardamenti furono causa di migliaia di morti, ma dove anche mitragliamenti a raso su persone inermi segnarono un nuovo confine del conflitto. Sul prossimo numero di Dajè mò, quello in uscita ad agosto, parleremo di quell’estate di settantanove anni fa quando morte, distruzione, disperazione e tragedie si abbatterono sulla nostra città insieme a centinaia di tonnellate di bombe.

di Roberto Pagnanini

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