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Interamna History – 33

Dal nero al rosso, dal fascismo alla Repubblica – terza parte: La tragica estate del ‘43

Tenente Albert Fensel al centro nella foto edited

Come accaduto più volte nel corso della sua millenaria storia Terni, attraversando i secoli e gli eventi, ha rappresentato spesso un obbiettivo strategico e politico fondamentale; in questa ottica, soprattutto dopo il 25 luglio del ’43, non è importato fosse una città di frontiera o un ponte tra culture, ciò che la rendeva degna di attenzioni fu il fatto di essere un sito centrale per la presenza della grande industria fascista e, soprattutto, un obbiettivo propagandistico degno di nota e per questo meritevole di attenzione. Fu così che a seguito della esautorazione proposta ed approvata con 19 voti favorevoli, 7 contrari ed un astenuto da parte del Gran Consiglio del Fascismo, mozione portata in discussione da Dino Grandi e capace di togliere a Benito Mussolini le funzioni di Capo del governo, cosi come alle successive dichiarazioni del Maresciallo d’Italia Badoglio, i bombardamenti strategici perpetrati in tutta Italia non risparmiano neppure Terni. Alle 10:13 di mercoledì 11 agosto 1943 in città risuonano i primi allarmi aerei con l’urlo delle sirene che iniziò a squarciare l’aria. I dodici B17 carichi di bombe da 420 libbre, per un totale di 236 tonnellate, che giungono sopra la città appartengono al 301° gruppo della 12° Army Air Force Usa di stanza in Tunisia e sono preceduti da un velivolo che traccia una scia fumosa bianca quasi a indicare loro la strada. Con una contraerea capace di una potenza di fuoco utile a colpire gli obiettivi fino a circa 3500 metri di altezza, le fortezze volanti americane si sentono al sicuro viaggiando bel oltre i 6000 ma, secondo le cronache del tempo, un immediato intervento dei caccia italo-tedeschi causa alcuni abbattimenti. Una prima incursione alle 10:29 vede in azione nove aerei  che si concentrano sulle zone di viale Battisti, via Mazzini, viale Brin e viale della Stazione. Quattro minuti di inferno ai quali ne faranno seguito altrettanti tra le 12:00 e le 12:04 quando, ulteriori trentadue apparecchi decollati sempre dall’aeroporto di Port du Fahs in Tunisia seminano morte e distruzione in città. Molti concittadini rimangono uccisi nei pressi degli ingressi dei rifugi, soprattutto in quello di Via Pacinotti dove un ordigno esplode proprio in prossimità dell’accesso, altri lungo le strade, in casa e nei posti di lavoro. Chi si salva cercando scampo e rifugiandosi nei campi della prima periferia, viene raggiunto dai colpi delle mitragliatrici in dotazione ai caccia. Il 28 agosto si replica ed anche il polo produttivo della Terni ne paga le conseguenze ma in maniera calcolata perché l’intenzione è chiaramente quella di fermare, o quanto meno rallentare, la produzione e non di distruggere gli impianti che poi sarebbero serviti agli Alleati una volta liberata la città. Le foto del report, documenti eccezionali, sono quelle pubblicate a corredo di questo articolo; una relazione stilata da Comando americano certifica la portata di un attacco cruento e pesante, strategicamente pensato per colpire la popolazione. Tutto questo è anche verificabile dall’articolo pubblicato dalla Stampa il giorno successivo; in città la linea di demarcazione tra la parte abitativa e quella industriale era ben distinguibile ed il fatto di colpire civili, chiese, case fu preciso e voluto. Nel pomeriggio dell’11 agosto, i Reali italiani giungono in città provenienti da Villa Ada e si trovano dinnanzi a desolazione, macerie e sconforto.Un esodo dovuto alla paura ed a questa nuova situazione che si era venuta a creare, porta la quasi la totalità della popolazione ad essere sfollata e cercare rifugio fuori Terni. La difesa aerea era affidata al CPPAA (Comitato Provinciale Protezione Antiaerea) da cui dipendeva la Milizia Artiglieria Contraerea. All’avvistamento degli aerei nemici, il segnale di allarme veniva dato da apposite sirene e dalle campane; nello stesso istante venivano allertati i Vigili del Fuoco, la Croce Rossa e la Guardia Nazionale Repubblicana; tutta la popolazione era obbligata al rispetto delle norme previste in caso di allarme. A Terni si ha notizia di 141 rifugi divisi in 5 zone capaci di dare ricovero a circa 15.000 persone. In questo scenario fatto di morte che arrivava dal cielo, si inserisce anche un aneddoto interessante verificatosi in occasione del primo bombardamento dell’11 agosto e che riguarda un P38 statunitense, preda bellica ripristinata successivamente con insegne italiane, ed un Macchi 205 che rappresentava al momento il più moderno caccia italiano; il colonnello Angelo Tondi, pilota personale di Mussolini è ai comandi del primo, il capitano Franco Bennato del secondo. Finito il raid su Terni, i B17 sono di ritorno alla base quando il colonnello Tondi decollato dall’aeroporto di Guidonia abbatte il velivolo del tenente Albert Fensel (al centro nella foto di gruppo) assegnato appunto al 301°, 419° squadrone, ultimo velivolo in coda alla formazione.  L’equipaggio era composto, oltre che dal pilota Fensel, dal co-pilota Bobbie Follet, dal navigatore Richard Jameson, dal bombardiere Peter Robeck, dall’ingegnere Martin Poler, dal mitragliere Robert Kennedy, dal radio operatore Rodman Robinson, dal mitragliere in Ball Turret William Cummings e dal mitragliere di coda Jack Ledford; precipitando in mare, insieme a Fensel, muoiono ulteriori sei aviatori mentre altri vengono recuperati dopo alcune ore dalla nave Catalina; un altro B17, quello del tenente Silvestri, si schianta a dieci miglia ad est da St. Donat in fase di atterraggio, senza però causare vittime. La vista del P38 Lockheed sgomenta gli americani che procedono in formazione e che subito lo riconoscono come quello catturato nel sud della Sardegna pochi giorni prima. L’azione temeraria del colonnello Tondi è raccontata nel sito ufficiale del Bomber Group che cita testimonianze dirette; una delle tante descrive come “L’ufficiale italiano si avvicinò talmente tanto per sparare che qualcuno dell’equipaggio disse che era un uomo di bell’aspetto”. La maniera di combattere la guerra era cambiata e mentre prima gli obiettivi erano strettamente militari, o quanto meno legati alla logistica della guerra come ponti, snodi ferroviari, porti, truppe, etc., adesso si puntava a terrorizzare la popolazione. Se fino al ’42 i bombardamenti si erano concentrati su obbiettivi industriali ed appunto militari, da segnalare con risultati non sempre apprezzabili, successivamente si puntò molto di più sulla valenza psicologica che gli stessi avevano sui civili. Tra l’autunno del 1943 e l’estate del 1944, il centro Italia viene a trovarsi tra le linee Gustav e Gotica, in pratica un doppio sbarramento che almeno nelle intenzioni doveva impedire l’avanzata Alleata da Sud. La strategia pensata dagli anglo-americani prevede non solo bombardamenti ma anche mitragliamenti a raso e utilizzo di bombe sporche con il chiaro intento di colpire i civili. Dopo quello dell’11 agosto, la più cruenta e tragica incursione in città fu quella del 14 ottobre quando ad essere colpiti furono anche il Palazzo del Governo ed il Palazzo di Giustizia. I morti si contarono a centinaia ed i fori causati dalle schegge contenute all’interno delle cluster bomb, le famose bombe a frammentazione, sono ancora visibili sul alcune pietre di quella che adesso è la sede della Prefettura. Nei pressi di Piazza Tacito sono circa 150 le vittime che rimangono a terra mentre sono in fila per accedere ad uno spaccio della Terni. Gli aerei anche in questa occasione sono scortati dai caccia che con voli radenti mitragliano successivamente ai bombardamenti. Molti uffici furono trasferiti a Sangemini dove nel frattempo si era costituito il Comando tedesco. Tra l’11 agosto del ’43 e giugno del ’44 le vittime riconosciute dovute ai bombardamenti a Terni furono 1016; di queste si ha certezza che soltanto una fosse all’interno della Terni e forse di un’altra che operava nella Fabbrica d’Armi, a testimonianza che la volontà fosse appunto quella di inculcare nelle persone quel terrore capace poi di generare quell’ondata di pacifismo, paura, emozioni contraddittorie in grado di mutare le sorti del conflitto. Politiche e strategie dei bombardamenti venivano decise a Londra ed a Washington negli incontri periodici tra il presidente americano Roosevelt e il primo ministro britannico Churchill; le due forze aeree avevano comunque approcci diversi rispetto alle modalità di bombardare i civili. Gli inglesi attaccavano di notte, gli americani di giorno; i primi affidando i velivoli anche a piloti yugoslavi. La guerra psicologica ambiva, insieme alle bombe, a convincere gli italiani ad allontanarsi da Mussolini e soprattutto a farli rifiutare la collaborazione con i tedeschi. La popolazione divenne in breve ostaggio della guerra e soggetta da una parte alle bombe e dall’altra ai tedeschi appunto, verso i quali veniva incoraggiata ad insorgere. Una strategia che era però inattuabile vista la presenza di questi ultimi su tutto il territorio. Per chi volesse approfondire l’argomento, molto interessanti sono i proclami radiofonici che Eisenhower indirizzò agli italiani e con i quali, in maniera molto esplicita, descriveva intenti, strategie e conseguenze per la popolazione civile. In ogni caso i bombardamenti non riuscirono a capovolgere la situazione cosi come sperato, almeno nell’immediato, e quindi una sorta di ritorno alla normalità iniziò a farsi largo in provincia. La mancanza di quadri intellettuali adeguatamente preparati nelle file dell’opposizione antifascista, non generò una reazione scomposta ne contro la parte badogliana ne contro i tedeschi tanto che in città la transizione avvenne in una relativa tranquillità. Il Prefetto Antonio Antonucci, già in carica dal 1938, poté conservare il suo ufficio così come Arturo Bocciardo,amico personale di Mussolini, mantenne la sua carica di Consigliere Delegato e Presidente della Società Terni. Insomma, la simbiosi tra città e fabbrica creata dal fascismo continuava e sembrava essere la unica via verso la normalizzazione e la ricerca di un dialogo da una parte con gli anglo-americani e dall’altra con i tedeschi. Sono ormai molti gli studiosi che sostengono come l’esperimento dei bombardamenti sull’Italia durante la Seconda guerra mondiale, accompagnato dall’affermazione ideologica della loro efficacia, ebbe un seguito nelle guerre successive fino a quelle recenti contro l’Iraq, l’Afghanistan e l’ex Yugoslavia. Con l’aggettivo strategico viene definito infatti un bombardamento aereo non direttamente collegato alle operazione attive sul campo di battaglia ma quando lo stesso cerca di colpire la fonte della potenza nemica e questo può essere ottenuto attraverso la distruzione dei mezzi materiali oppure, sconvolgendo la vita della popolazione civile, in modo da renderla durissima ed inaccettabile. Quest’ultimo aspetto, il fatto cioè di colpire indiscriminatamente le città nemiche, aspira appunto alla circostanza che sia poi la stessa popolazione a richiedere al proprio governo la stipula di un trattato di pace, intento che, nella fattispecie italiana, era rivolto verso lo stesso Badoglio che l’8 settembre del 1943 annunciò l’entrata in vigore dell’armistizio di Cassabile, firmato il 3 dello stesso mese. Un armistizio che nell’intento aveva quello, sue testuali parole, di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ma che nei fatti diede inizio alla guerra civile. La sua fuga dalla Capitale, insieme a quella dei vertici militari, del re Vittorio Emanuele III, del principe Umberto, unita alla confusione generata dalla non ben chiara comprensione delle stesse clausole armistiziali portò per esempio, soltanto per ciò che riguarda le forze armate, alla cattura ed all’internamento nei lager nazisti, di oltre 815.000 soldati italiani.

di Roberto Pagnanini

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