Libero Liberati: l’uomo che trasformò in realtà i sogni
Lui Libero Liberati, il Cavaliere d’Acciaio, espressione di una Terni operaia che proprio dagli altiforni era rinata, a contendere la vittoria al Duca di Ferro, Geoffrey Duke, la nobiltà del motociclismo dell’epoca. L’icona di questo sport incredibile fatto di velocità e coraggio è ancora oggi fissata in quella foto che, nell’immaginario di tutti, ne è la sintesi stessa. 9 settembre 1956, Gran Premio di Monza. Due Gilera, due Uomini, due Campioni il cui sguardo va oltre il tempo. In quell’occasione finì con l’inglese davanti soltanto per un decimo, ma così doveva essere. Un decimo, un battito d’ali, un nulla per noi comuni mortali, un tempo lunghissimo per chi vola nel vento. Un anno dopo però, il 1 settembre 1957 sempre a Monza, con Liberati vinceva Terni e tutta la sua gente. E ci sarà pur un motivo se, ancora oggi, lo stadio cittadino dove le Fere ci regalano gioie e delusioni è intitolato a lui, uno tra i pochi esempi al mondo di un impianto sportivo dedicato ad un campione di un’altra disciplina. Era Carnevale e nessuno saprà mai cosa pensava e cosa pensavano i ternani in quel piovoso giorno di marzo quando a Cervara, a poche centinaia di metri dalla sua Terni in cui trentasei anni prima era nato, Libero Liberati perse la vita. E così la sua gente, nella stessa maniera nella quale lo aveva acclamato, osannato e portato in trionfo dopo la vittoria del mondiale, lo accompagnò silenziosa e triste verso la sua ultima dimora. Una città che ha tra i propri valori quelli della fedeltà e della riconoscenza, gli stessi che avevano indotto Liberati a non tradire mai la Gilera. Neppure dopo lo storico ritiro dalle competizioni delle case italiane al termine della stagione ‘57. La marca di Arcore, insieme alla Mondial e alla Guzzi, sottoscrisse infatti un accordo per non partecipare alle manifestazioni motociclistiche, giustificando la decisione con l’elevato impegno economico che avrebbero dovuto sostenere; un accordo aggirato dalla MV Agusta con un escamotage, con una semplice scritta privat sul serbatoio. Liberati, che mai aveva pensato di cambiare bandiera e mai aveva pensato di correre per un altro marchio, si trovò cosi senza la possibilità di difendere il suo titolo di Campione del mondo. Non lo fece neppure dinnanzi ad un assegno in bianco che il conte Augusta gli presenta in occasione di una gara sul circuito di Cesenatico; e a dire che lo stesso Carlo Bandirola, suo avversario di sempre, si era fatto più volte ambasciatore di questa proposta. Ma qualcosa cambia ed a seguito delle pressioni di molti concessionari del nord, certi che questa situazione li stesse penalizzando commercialmente, il Commendator Gilera si lascia sfuggire una promessa; una Quattro cilindri con la quale Libero avrebbe partecipato al Campionato Italiano del 1962, di cui la prima prova era prevista a Modena. Siamo all’inizio dell’anno e lui che mai aveva smesso di allenarsi e gareggiare, ancorché da privato, intravede forse l’inizio di un nuovo sogno. … Ma quel 5 Marzo del 1962 in sella alla sua Saturno, con quella tuta nera e il petto imbottito di giornali, il suo immancabile fazzoletto piegato e riposto in una tasca all’interno della tuta stessa insieme ad un documento, mentre si allenava sicuro del suo rientro da ufficiale alle corse, e di poter così continuare a vivere il suo meraviglioso sogno, il destino mise fine alla sua vita terrena e fece nascere il mito. Qualche giorno prima, di ritorno da Arcore, Liberati insieme al suo meccanico Pirro Loreti esprime la sua gioia all’amico Remo Venturi per aver definito tutti i particolari con la Gilera e questo, tra l’altro, gli permette anche di sbilanciarsi con Renzo Rossi, giovane ed emergente pilota ternano del tempo. Dato che per lui c’era pronta la 500cc Quattro cilindri, avrebbe potuto dare a Renzo la sua Saturno per l’inizio del campionato. Se si fosse allenato costantemente, ed i risultati fossero venuti, c’era anche l’impegno da parte di Libero affinché più avanti, nel corso della stagione, a Rossi fosse permesso di utilizzare una 350cc, anche questa quattro cilindri, per correre ad Imola. Era di lunedì ed insieme decisero di uscire per un allenamento in moto, una girata. Il destino, discreto come sempre, fa la sua apparizione. Piove e l’appuntamento viene rimandato. Il magnete della Gilera di Libero non funziona e quindi la moto non si accende. Pirro, suo fidatissimo meccanico che nonostante fosse febbricitante non se la sente di restare a casa e di abbandonare l’officina, lo sostituisce in un attimo. In lui, ancora oggi, e come dargli torto, rimane un eterno rimorso mai placato. Si fa tardi. Libero vuole partire comunque ma a quel punto Rossi rinuncia e non va con lui. E’ mezzogiorno e continua a piovere. L’asfalto bagnato, la strada sulla quale aveva battuto campioni di ogni tempo, la parete rocciosa dove probabilmente urta dopo la caduta, lo tradiscono. Il Cavaliere d’Acciaio sul suo Circuito dell’Acciaio. Non troveremo mai neppure una persona che ci dirà cosa accade in quegli ultimi attimi. Neppure chi, come lo stesso Pirro, alcuni minuti prima lo ha aiutato a riempire il serbatoio della sua Gilera, lì nella stessa officina di Libero e lo ha aspettato per poterlo rivedere nel pomeriggio. Sì perché Libero sarebbe tornato, come sempre. O chi, pochi istanti prima della tragedia, sente il suono del motore della Gilera arrivare veloce, forte, pieno per poi, in un attimo, lasciare posto ad un silenzio irreale. Ed ancora chi, in mezzo a quel silenzio irreale lo raccoglie per trasportarlo sulla sua 1100 in una corsa piena di speranza all’ospedale di Terni. Nessuno mai saprà dircelo. In molti giurano di conoscere come realmente andarono i fatti ma l’unica certezza è quella che la moto viene trovata in terra lungo un tratto rettilineo, poco prima di una curva a sinistra. Una curva che per tutti noi adesso è la curva di Liberati. Quando dopo alcuni giorni viene dato il permesso di esaminare la Saturno, la moto viene accesa e il motore parte immediatamente facendo scartare l’ipotesi del guasto meccanico. Anche tutte le altre componenti risultano essere perfette. La Gilera non mostra grandissimi danni se non quelli causati da una scivolata sull’asfalto. Anche l’ipotesi del malore non viene mai presa in considerazione e quindi, rimane la possibilità che, nel momento di frenare, scalare e prepararsi per affrontare la curva, la moto abbia perso aderenza a causa dell’asfalto umido e probabilmente sporco ma Nessuno mai potrà dirci come andarono veramente le cose. La notizia della morte di Libero si diffonde in un attimo in tutta la città, facendola piombare nel più totale sconforto. Noi e la nostra Terni abbiamo perso qualcosa di più di un Campione, abbiamo perso un Uomo. Oggi, a testimonianza di quel tragico evento, lungo la strada Valnerina rimane una lapide. Queste le parole dell’allora sindaco di Terni in occasione del funerale a cui partecipa un’intera città e non solo: “Tu, ardito cavaliere del nostro tempo, ci indichi una meta lontana, l’approdo glorioso di una vita fortemente e seriamente impegnata (…)”. Liberati era una persona semplice ed umile che le vittorie e la gloria non avevano cambiato. La sua partita a carte al bar Rossi di Città Giardino, i suoi amici più cari Aldo Coccetta ed Elvino Rapanelli, il suo meccanico di sempre Pirro Loreti, depositari di mille storie e di mille straordinari aneddoti. “La gioia più grande è quella di vedere la felicità negli occhi degli amici per la mie vittorie” ripeteva spesso Libero Liberati. E’ per questo che di Libbero, con due B perché nella conca quel nome si pronuncia cosi, forse a renderlo ancora più importante, per Terni e per i ternani, non restano soltanto le quarantadue vittorie conseguite dal 1947 al ’61, le due Coppe d’Oro Shell conquistate a Imola, la vittoria nel Gran Premio della FMI del ’51, i due Campionati Italiani ed il campionato Mondiale vinto nel 1957 nella classe 500cc, che gli valse tra l’altro anche la Medaglia d’Oro come Atleta dell’Anno conferitagli dall’Unione Stampa Sportiva, del Ternano Volante resta molto di più. Rimane il segno indelebile di un Uomo prima e di un Campione poi, capace di incarnare e trasformare in realtà i sogni dei suoi concittadini e dei suoi amici. Così nascono i miti che scaldano i cuori.
Tratto dal libro Nessuno Mai, la presunzione dei fatti