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Interamna History – 8

Il Monte di Pietà a Terni

Barnaba Manassei

Vuoi per il difficile momento causato dal Covid-19, vuoi perché in generale la situazione economica non è tra le migliori, ultimamente sono tornati in auge i Monti di Pietà, il sistema finanziario sorto in tarda età medioevale per conto di alcuni frati francescani che, cosi facendo, volevano contribuire a contrastare il prestito ad usura perpetrato dagli ebrei. Una questione, quella della liceità degli interessi, lungamente dibattuta dal clero e che con Leone X fu regolamentata con un decreto che riconobbe appunto i Monti di Pietà come istituzioni benefiche ispirate a scopi umanitari. Chiaramente, i fondi iniziali per la loro costituzione provenivano da elargizioni di privati o da associazioni religiose oppure da contributi versati da enti comunali. C’è da dire che per gli ebrei l’attività del prestare denaro a fronte di interessi molte volte usurai, e sempre con pegno di beni, era la naturale conseguenza del non poter accedere a professioni legate ai pubblici uffici o neppure alla semplice proprietà e quindi rappresentava molto spesso l’unica fonte di sopravvivenza per le classi meno abbienti tanto che, invece di venire combattuto come metodo, gli stessi comuni cercavano di regolamentarlo. Anche Terni si adoperò a tal proposito autorizzando questi prestiti con una serie di decreti redatti negli anni e che variarono in base alle contingenti situazioni del momento cosi come degli eventi. La fondazione del Monte di Pietà nella nostra città risale al 1467 ma in realtà, altro non era che la naturale prosecuzione dell’opera svolta dalla confraternita di San Nicandro già avviata nel 1464 che, anche in questo caso, fu conseguenza della sospensione da parte del Consiglio generale del Comune dei contratti usurai in essere con gli ebrei. Una commissione costituita da otto membri e presieduta dal frate francescano Nicola di Spoleto, costituì cosi un monte di prestito denominato Mont mutuationis  che però, visti gli esigui fondi a disposizione, ebbe un breve quanto poco regolare funzionamento e soltanto nel 1467 appunto, quando iniziarono a giungere nelle casse titoli lucrativi di eredità, donazioni, riscossioni dovute a tasse comunali, dazi ed anche dello stipendio di colui che doveva ricoprire la carica di Governatore, titolo in quel momento vacante,  si potè provvedere a riorganizzare e rendere davvero efficace. La prima radicale trasformazione riguardò la forma giuridica che passò da privata a istituzione pubblica gestita dal Comune anche se la confraternita di San Nicandro, continuava ad esercitare una forte opera di controllo oltre che eleggere gli amministratori. I primi statuti furono redatti da due deputati, Monaldo de Paradisis e Angelino de Zaffinis, e da due frati, Barnaba Manassei e Fortunato Coppoli ed a testimonianza dell’importante ruolo rappresentato dalla confraternita, al nome Monte di Pietà venne aggiunto quello della Vergine Maria, matre della Misericordia. La struttura amministrativa era relativamente semplice e prevedeva due depositari che si occupavano appunto del deposito dei beni e del denaro cosi come si occupavano di tutte le pratiche relative alle concessioni, un trombetta, in pratica l’incaricato di annunciare le aste pubbliche degli stessi beni quando erano messi in vendita perché non riscossi, e da un podestà che era chiamato in causa per dirimere eventuali controversie. I prestiti erogati venivano concessi a quei cittadini ternani davvero poveri, a volte addirittura indigenti e non in grado di soddisfare i bisogni primari; non venivano elargiti per scopi superflui, il bene dato in pegno doveva avere un valore superiore di almeno un terzo rispetto alla cifra richiesta, ogni famiglia non poteva sommare più di cinque fiorini di prestito e la polizza non poteva avere una durata superiore ai nove mesi. Chiaramente, trascorso questo tempo, il beneficiario del prestito doveva ritirare il pegno riconsegnando al contempo l’intera cifra più una piccola percentuale di interessi perché al contrario, il bene sarebbe stato venduto. Tra alti e bassi, il Monte di Pietà continuò a svolgere la sua funzione per molti anni anche se, con il passare del tempo, la sua gestione si andava sempre più svincolando dalla confraternita a favore del Comune e conseguentemente si assistette ad alcune modifiche amministrative come ad esempio l’importo del prestito sceso da cinque ad un massimo di tre fiorini e la durata della polizza che passò da nove a dodici mesi. Molta più attenzione fu rivolta all’origine dei pegni che non dovevano essere ne deteriorabili ne sacri perché avrebbero potuto nascondere una provenienza furtiva e per di più, non potevano essere conservati neppure nell’abitazione del montista cosi da evitare che quest’ultimo, per il tempo della durata della polizza, ne potesse usufruire per un uso proprio. Dal 1474 l’attività del Monte di Pietà tornò ad essere affiancata a quella degli ebrei, questa volta reatini, ai quali in base ad un contratto sottoscritto con il Comune, veniva riconosciuto il diritto di prestare denaro ad un tasso di interesse del trenta per cento se destinato a cittadini ternani e del quaranta per i forestieri; a fronte di questa attività, gli ebrei contrattarono, e si impegnavano per dodici anni, a versare nelle casse comunali quaranta fiorini cada annualità. Una operazione che non portò però i guadagni sperati tanto che gli scarsi profitti generati, furono di consiglio affinché il contratto, a fronte di un pagamento di settanta ducati, venisse rescisso con due anni d’anticipo. Nel 1490 a fianco del Monte di Pietà venne creato il Monte Frumentario ad opera di Andrea da Faenza, un francescano impegnato soprattutto in una nuova opera moralistica della città che vale la pena ricordare era attraversata da una ondata sfrenata di corruzione, con lo scopo di prestare grano agli agricoltori. I benefici del suo lavoro trovarono riscontro anche nel rifiorire dello stesso Monte di Pietà dentro le cui casse confluirono anche tutti i proventi derivanti dalle multe pecuniarie elevate ai bestemmiatori, alle meretrici ed ai rei di altri delitti previsti e puniti dagli Statuti morali redatti nello stesso anno. I tempi però non erano dei migliori ed i cittadini non erano neppure in grado di pagare le tasse previste dal Comune e cosi si assistette ad una nuova decadenza dell’istituto che, tra mille cambiamenti e modifiche, si trascinò sino al 1552 quando non fu più in grado di soddisfare le stesse esigenze per le quali era stato costituito. L’usura continuava a rappresentare un grande problema per le famiglie ternane tanto che il Comune fu costretto a proibire qualsiasi prestito in denaro, in olio ed in vino con pene molto precise per chi non rispettava tali dettami; pene estese anche ai notai che rogavano polizze o ai testimoni che vi assistevano. Fu allora che si cercò una nuova riorganizzazione del Monte di Pietà; all’imposta straordinaria sul grano richiesta ai ternani, cosi come al contributo di cinquecento scudi alla quale fu chiamata la confraternita di San Nicandro, il Comune rispose con la cessione di alcuni beni di sua proprietà tra i quali delle paludi bonificate delle Marmore che, date in affitto agli abitanti dei castelli di Papigno e Miranda, portarono nella casse ulteriori fondi. Furono ridotti i tassi di interessi, sei baiocchi l’anno per ogni scudo, e mantenuti segreti i nomi di chi impegnava i beni. L’evoluzione del Monte proseguì anche nel XVII secolo ma la sua gestione non fu priva di irregolarità; l’uso improprio del denaro destinato alla classi meno abbienti per esempio, chiamò in causa direttamente papa Paolo V che dovette emanare un decreto per condannare tale abuso. Sin dagli inizi del XV secolo, la sede del Monte di Pietà ternano aveva trovato spazio in un edificio situato nei pressi dell’attuale Piazza della Repubblica; un palazzo ricevuto in eredità da donna Cremesina dalla famiglia Paradisi ma poco adatto alle nuove esigenze tanto che costrinsero l’istituto a dotarsi di una sede più consona che venne edificata nei pressi di quella originale. Con i nuovi statuti comparvero anche nuove figure amministrative come il cassiere, il cancelliere, i reggenti, tra i quali veniva eletto il depositario. Anche la peste che colpì Terni nel 1657 coinvolse le attività del Monte cosi come la sua operatività arrivò sino a finanziare progetti importanti per la comunità come la riedificazione della Cattedrale, l’istituzione del Seminario, la costituzione del Conservatorio delle Orfane o, come nel caso della grande carestia che colpì la città nel 1764 l’acquisto di grano da destinare ai più bisognosi. Quella che fu una attività quasi continua nell’arco di oltre tre secoli, trovò una interruzione durante il periodo della Repubblica francese quando il generale Berthier ne ordinò la chiusura per poi, sotto le pressioni della popolazione ternana, autorizzarne la riapertura mettendone però il controllo sotto le autorità francesi; un periodo che segnò gravi perdite economiche per il Monte a causa di una forte svalutazione delle cedole. Dopo il periodo pontificio, con l’avvento dell’Unità d’Italia il Monte di Pietà si svincolò dal controllo ecclesiastico per passare a quello delle Congregazioni di Carità, un organo appositamente creato nei vari comuni e per quanto riguarda Terni, tutto avvenne con un decreto del 28 gennaio 1864. Una successiva modifica ne certificò il passaggio all’ECA, Ente Comunale di Assistenza,  nel 1937 e nel 1938 il nome mutò in Monte di Credito su Pegno e poi, definitivamente, dal 1954 fu incorporato dalla Cassa di Risparmio che ne trasferì la sede da Palazzo Mazzancolli, dove era stato collocato a partire dal 1879, all’interno di alcuni locali siti in Via Angeloni. Cosi come certifica il Sistema Informativo per le Sopraintendenze Archivistiche, il fondo del Monte di Pietà di Terni contiene 105 buste con estremi cronologici che vanno dal 1551 al 1875. Si tratta di deliberazioni della congregazione della reggenza, protocolli della corrispondenza, pegni e relativi spegni, carteggi amministrativi, registrazioni dei depositi, libri di entrata e uscita, libri mastri, apoche, le ricevute o le quietanze che costituiscono per il debitore prova dell’avvenuto pagamento, certificati di depositi, memorie storiche, libri di istrumenti, decreti e rendiconti, copie di bollette. Un’altra parte molto importante degli archivi è conservata invece dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e  Narni  ed abbraccia un arco temporale che va dal XIII sino al XIX secolo; in questo caso non soltanto materiale inerente al Monte di Pietà, ma anche quello prodotto da altre Opere pie come le confraternite di San Nicandro, dei Disciplinati di Gesù Cristo e della Croce Santa, Pio Conservatorio delle OrfaneLegato Teofoli e Orfanotrofio Guglielmi.

di Roberto Pagnanini

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