Interamna History – 15
Le conseguenze della battaglia di Terni
La Repubblica Romana, sorella della Prima Repubblica Francese, si colloca storicamente tra il ‘97 ed il ’99 del XVIII secolo e vide strappare Roma al dominio temporale di Pio VI nel febbraio del 1798. Di stampo giacobino, come abbiamo già visto ebbe effetti anche sulla nostra città. Come scrive Elia Rossi Passavanti nel suo Terni nell’età moderna a seguito della battaglia che si svolse a Campomicciolo “… con battaglie più fortunate che quella dei Napoletani venivano cacciati in altre parti della nostra Penisola i repubblicani francesi. Specialmente quando si sparse la notizia della morte del Pontefice Pio VI, prigioniero della potenza gallica in Valenza …”, il Collegio dei Cardinali, che godeva della protezione austriaca, si riunì in Conclave a Venezia e nel contempo milizie russe, inglesi, le stesse austriache fin anche turche, discendevano la penisola. Il 19 settembre del 1799, le truppe francesi abbandonarono Roma che subito venne occupata dai napoletani. Colorita anche la descrizione che il Silvestri dedica all’ingresso di queste nuove truppe a Terni che per ciò che concerne quelle ottomane, si potevano immaginare essere composte da soldati come quello rappresentato nella foto: “… Veduti entrare dalla porta dei tre monumenti di questa città la speciosa accozzaglia di milizie straniere, e in mezzo alla sventolare di bandiere Austriache e Piemontesi, mescersi la mezza luna, e la scimitarra del Profeta Arabo; si risovverranno dell’abbattuto albero di libertà repubblicano in mezzo alla piazza dalle scuri Tedesche, dei popoli versatili tripudj e quando venne alzato, e quando poi abbattuto”. Con due editti datati rispettivamente 1° dicembre ’99 e 31 gennaio 1800, il Commissario Civile per l’imperiale regio governo austriaco, Antonio De’ Cavallar, dichiarò annullate ed abrogate tutte le leggi e le disposizioni emesse durante l’occupazione francese ad eccezione di quelle relative alla moneta. Per ciò che riguardava Terni, che in luogo di un Governatorato contava su una deputazione dei Triumviri, furono eletti il 21 marzo il Marchese Marcello Sciamanna, il Conte Giovanni Manassei ed il Cavalier Antonelli. Ulteriore conseguenza fu quella di far tornare in funzione il Consiglio Comunale che fu formato da 65 cittadini cosi come la Magistratura. Fu sotto questa reggenza che si manifestarono tutti i disagi di una carestia alimentata anche dalla mancanza di moneta oltre che dal dissesto finanziario prodotto dal governo francese. La crisi era talmente grande che anche il forno pubblico risultava non soltanto sprovvisto di grano ma anche dei fondi per acquistarlo tanto che, la reggenza si vide costretta a chiedere un prestito forzoso ai possidenti ed ai negozianti che versarono i denari al Monte di Pietà con l’accordo che gli sarebbero stati restituiti in un paio di mesi. L’ordine di versare i soldi era talmente perentorio e minaccioso che prevedeva per chi non avesse provveduto l’arresto e dopo ventiquattro ore da questo, nel perdurare nel non pagare, tre scudi di multa per ogni ora. Alla fine si riuscì a racimolare il necessario e ad acquistare il grano dalle Marche. In concomitanza con l’ascesa al Soglio Pontificio di Pio VII, al secolo Barnaba Niccolò Maria Luigi, l’Amministrazione Comunale fu riordinata per opera di Mons. Caracciolo di Santobono, Delegato Apostolico della Provincia dell’Umbria. Lo stesso Pontefice di ritorno a Roma proveniente da Venezia, con un viaggio che lo vide prima fare rotta su Pesaro a bordo della fregata austriaca Bellona per poi proseguire lungo la Flaminia, fece sosta a Terni accolto in maniera festosa ed impartì la benedizione dalla Cattedrale; implorato dal Cavalier Paolo Gazzoli poi, tornando questa volta dalla Francia, si fermò nuovamente in città. Agli inizi del 1801, era il 23 febbraio, venne elevato alla Sacra Porpora il ternano e Mons. Valentino Mastrozzi. Non tutte le sciagure erano però finite per Terni, cosi come per le tante altre città che ancora non si erano riprese dai passati sconvolgimenti politici, ed il 19 marzo del 1801, il 28 ventoso, giunse ordine da parte del cittadino Odier, Commissario di Guerra del Corpo di Avanguardia delle Truppe Repubblicane Francesi, di predisporre un approvvigionamento straordinario di 8000 moggio di biada, da considerare che a Terni un moggio corrispondeva ad oltre 280 metri quadri di coltivato, 1200 quintali di fieno, una riserva di 100 buoi da trasporto e tutto quanto necessario per la sussistenza di 8000 uomini; l’incaricato a far eseguire l’ordine fu indicato dallo stesso Odier nella persona di tal Gatti a Foligno da cui si recarono il Marchese Sciamanna ed il Conte Fabrizi per tentare una mediazione vista la situazione non florida delle casse comunali. L’aiuto, ancora una volta, giunse dal S. Monte di Pietà previo il beneplacito della Santa Congregazione del Buon Governo ma si dovette ricorrere alla vendita di alcuni edifici tra i quali un mulino a grano sito nei pressi di Galleto di Papigno. E’ dell’anno precedente invece, un editto pontificio che “… per il mantenimento dello sfamo della nostra popolazione fosse data facoltà a chicchessia della libera panizzazione, a forma dell’elogiato editto, non che di vendere non solo il pane basso, ma anco il pane frammisto a granturco”; chiaramente, chi avesse voluto panizzare e vendere, avrebbe dovuto presentare una obbligazione garantita da una idonea fidejussione e garantire lo spaccio aperto per un periodo determinato oltre che fornirlo di pane di buona qualità e di giusto prezzo. Senza dubbio la liberalizzazione del settore agrario, oltre che venire incontro alle esigenze della popolazione, rappresentò anche l’accoglienza di quelle richieste progressiste che già si stavano proponendo in tutta Europa.
di Roberto Pagnanini