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Interamna History – 25

Terni e la Prima Guerra mondiale

Ritratto di cinque militari italiani della 1^ guerra mondiale del 54° Rgt. fanteria

La prima guerra mondiale, La Grande Guerra, ha senza dubbio segnato un nuovo confine per quello che al tempo era il concetto stesso di conflitto. Una guerra totale innanzi tutto per il gran numero di nazioni coinvolte cosi come per gli uomini e le forze impiegate. Una guerra che per la prima volta fu condotta non soltanto sulla terraferma ma anche in mare e, novità assoluta, in cielo. Una guerra che vide fortemente, ed imprescindibilmente, coinvolto il mondo dell’industria; armi, munizionamenti, mezzi, carri armati, blindati, auto, moto, finanche gas asfissianti, gavette e vettovagliamenti dovevano essere prodotti in grandissima quantità e, soprattutto, con una programmazione precisa ed incessante. Va da solo il fatto quindi, che quella guerra totale non si combatté soltanto al fronte ma soprattutto da lontano, nelle fabbriche, nelle miniere, laddove insomma i rifornimenti prendevano forma e la logistica divenne fondamentale. Lo stesso Stato entrò in prima persona nell’economia reale cosi come nel mondo dell’industria e lo fece sotto forma di appalti diretti per garantire le forniture militari, distribuendo lui stesso le materie prime, gestendo assunzioni, calmierando i prezzi ed asservendo gli stabilimenti all’interesse bellico della nazione. Per completare il quadro, e far cosi intendere quale l’atmosfera del momento, bisogna ricordare che anche le maestranze impiegate erano sottoposte alla giurisdizione militare. La totalità della società civile venne in breve coinvolta in questa corsa contro il tempo e contro tutto e lo stesso smisurato e crescente numero di donne assunte, ne fu testimonianza. Storicamente l’Italia entrò in guerra un anno dopo il suo inizio ma, nonostante questo, pagò ugualmente un prezzo incredibile in termini di morti, di feriti e di invalidi permanenti. Dei quasi cinque milioni di soldati partiti per i vari fronti, oltre seicentocinquantamila non fecero ritorno alle loro case ed un milione lo fece mortificato nelle carni, a volte in maniera totalmente invalidante. Ma non solo questo perché ci furono altrettanti prigionieri e se le fredde statistiche parlano soltanto di solo cinquemila civili morti a causa di eventi collaterali ad azioni belliche, altri seicentomila ne morirono per fame e malattie. In tutto questo anche l’Umbria e Terni furono protagonisti e nel caso della nostra città, recitando un ruolo di primissimo piano. Nella nostra regione il rapporto tra popolazione e chiamati alle armi fu il più alto in Italia e tra loro, novecentosessantotto su mille furono impiegati al fronte, praticamente tutto l’intero contingente idoneo al servizio militare. I fanti umbri vennero per lo più inseriti nella Brigata Alpi, 51° e 52° Fanteria, e nella Brigata Perugia, 129° e 130° Fanteria, mentre in generale furono quasi undicimila i soldati della nostra regione che non fecero ritorno a casa. A testimonianza di ciò, restano gli oltre settanta monumenti alla memoria presenti anche nei più piccoli borghi. Quello di Terni è visibile presso l’ingresso della Passeggiata ed alla parte più antica si accede tramite una scalinata; la sua posizione attuale è successiva allo spostamento avvenuto nel 1930 da Piazza Tacito. Il complesso marmoreo è stato rivisto nel tempo e vede un corpo centrale quadrato che su ognuno dei sui quattro angoli ospita altrettante statue in bronzo che raffigurano soldati e una donna che tiene in braccio un bambino. L’aggiunta di altri simulacri risale agli anni ’60 mentre successivamente alla fine della Seconda Guerra mondiale, trovò posto anche un monumento-ossario dedicato ai caduti di tale conflitto. Trecentocinquanta le decorazioni al valor militare riservate ai soldati umbri. Come abbiamo già visto nei numeri scorsi, la nostra città alla fine del XIX secolo era stata scelta per la sua lontananza dalle coste e per la sua ricchezza di acque capaci di fornire una grande forza motrice, come sede di due  importantissimi  insediamenti, uno industriale e l’altro militare: la Società degli Altiforni e delle Fonderie e la Reale Fabbrica d’Armi. Proprio relativamente a quest’ultima, a partire dal 1912, quindi dopo oltre trentacinque anni dalla sua inaugurazione che risale al 1875, la direzione iniziò a realizzare un potenziamento ed un adeguamento delle linee per renderle più efficienti e la stessa produzione fu diversificata. Infatti, si iniziò non soltanto a produrre  per intero fucili e quant’altro ma anche parti di armamenti destinati ai vari reparti di artiglieria come ricambi. Tra l’altro anche l’approvvigionamento dei semilavorati risultava essere un problema per cui, in previsione di quello che poi purtroppo si tramutò in realtà, e cioè il coinvolgimento in un conflitto bellico di vastità eccezionali come la Prima Guerra, per evitare il dipendere da entità terze, magari straniere, si iniziò a coinvolgere direttamente aziende italiane nella fornitura di canne, culatte, serbatoi finanche ai più semplici utensili. L’incremento della produzione relativa ai fucili fu implementata di circa il 40% mentre, allo stesso tempo, si provvedeva alla lavorazione di altri armamenti, parti di essi e munizioni. Non solo questo però perché in occasione di differenti operazioni militari, gli stessi operai specializzati vennero inviati nelle retrovie per quelli che erano lavori di semplice manutenzione o per effettuare riparazioni più importanti. Proprio perché distante dai vari fronti, durante la guerra Terni fu anche utilizzata per il trasferimento di prigionieri di guerra, genti sfollate dai teatri di combattimento e di mutilati ed invalidi che se pur non più idonei per il combattimento, lo erano per fornire mano d’opera sulle linee di produzione. Una bilancio redatto a conflitto finito, parla di una spesa rendicontata dalla Reale Fabbrica d’Armi per acquisto di materie prime, di oltre ottantasette milioni di lire contro un invio giornaliero di 73 tonnellate di produzione che toccò l’apice con più di 220 nella primavera del ’18. Senza scendere nei particolari, furono costruiti più di due milioni di fucili ed oltre un milione e seicentomila baionette, quasi mezzo milione di pugnali per arditi e duecentomila baionette speciali oltre a decine di migliaia di canne per mitragliatrici, zappette, piccozze, vanghe, attrezzatura in genere e cinquecentomila proiettili da 75mm. Nel contempo, anche la Società degli Altiforni e Fonderie di Terni, che nel frattempo era passata di proprietà dopo la morte di Breda nel 1903 al quale si erano sostituiti Attilio Odero e Giuseppe Orlando, decide per un suo ammodernamento ed ampliamento, il che gli permise di entrare con forza nella produzione di corazze e lamiere di grosso spessore; fu cosi che durante il periodo bellico la produzione di acciaio venne triplicata. Ma non soltanto corazze per navi perché da Viale Brin uscivano anche componenti per cannoni e proiettili. In quello che venne definito il fronte interno, alla Regia vennero impiegate oltre tremila donne con le mansioni più differenti ma a parte questo, in un vero slancio patriottico molte altre, comprese le più piccole, si ingegnarono nella produzione di indumenti di lana da inviare ai militi in trincea. Su indicazione del Ministro Balzilai, primo tra i Repubblicani a ricoprire incarichi di governo, Carbonaro, Consigliere dell’Ordine massonico del Grande Oriente d’Italia e senatore del Regno, si invitavano infatti tutti i Prefetti ad istituire un comitato per il confezionamento di questi capi e cosi anche a Terni, l’allora Sindaco Pietro Setucci se ne fece carico, ricercando altresì fondi per l’acquisto delle materie prime come la lana. Donne, ragazze e bambine, oltre cinquecento più intere classi di scolaresche, potettero cosi mettersi al lavoro con ferri ed uncinetto all’interno del Teatro Verdi. Una iniziativa che con enfasi e lirica del tempo fu definita un evento dove … la ricca dama affabilmente fraternizza con le popolane, con le maestre; queste con amore si chinano sui lavori delle piccole alunne delle elementari … Oh benedette le vostre mani dame e fanciulle italiane, benedette voi tutte che vibrate di un unico palpito nella vostra opera buona …  Come oggi, 4 novembre, ma di centotre anni orsono, il Generale Armando Diaz comandante supremo del Regio Esercito Italiano, a seguito dell’armistizio di Villa Giusti annunciò alla nazione con il famoso Bollettino della Vittoria la resa delle forze austro-ungariche e quindi la vittoria da parte dell’Italia nella Prima Guerra mondiale. “La guerra contro l’Austria-Ungheria che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta … I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza” Giusto un paio di giorni prima, le parole vergate su un foglietto esposto all’ingresso del Palazzo comunale di Terni erano altre cosi come riporta un bellissimo passaggio tratto dal libro Biografia di una città scritto da Alessandro Portelli. Lui descrive così lo stato d’animo che si viveva in città alla notizia della fine della guerra. “Un giorno – racconta tal Mario Sassi -, nel pomeriggio, nel novembre del ’18, stavamo a casa, stavamo per cenare, e sentimmo un gran baccano. Sentimmo la gente che correva, agitata, eccetera. Uscii da casa, andai sotto l’arco del comune, c’era una calca di gente che premevano, premevano contro l’androne, tutti quanti urlavano, strillavano, evviva l’Italia, abbiamo vinto. Io  mi avvicinai e vidi ‘na cornicetta, co’ ‘na retina de ferro e dentro c’era un foglio di carta con il telegramma di Diaz: Oggi due novembre la marina italiana è sbarcata a Trieste. Il tricolore sventola sul castello del Buonconsiglio. Tutti a piagnè. Uscimmo de casa, c’era tutta Terni, co’ le bandiere, di notte, una cosa indescrivibile”. Nel periodo bellico Terni era una città relativamente piccola che però visse un grande incremento di masse impiegate nell’industria.  Il fronte era lontano ma nonostante ciò, si hanno cenni anche di passaggi nei nostri cieli dei famosi dirigibili Zeppelin,  fatto che costrinse i deputati alla difesa costretti ad utilizzare gli allarmi aerei. Ma uno dei problemi più grandi che si registrava in città era quello della speculazione oltre che della corruzione. La fame era un qualcosa con cui fare i conti ogni giorno e le persone si arrangiavano come potevano; i commercianti, in una situazione come quella che si viveva in città, cercavano guadagni più alti centellinando la vendita delle merci alla bisogna, tenendole nascoste e rendendole disponibili a prezzi maggiori. Questo generò scontento e non raramente piccole rivolte come quando la folla assalì l’allora Caserma Bignone, situata tra Piazza Tacito e Piazza Valnerina, per accaparrarsi le vettovaglie li conservate. Il salario diario non era sufficiente alla sopravvivenza insomma, la situazione era oltremodo difficile. A questo poi, si sommava una lotta di classe che si accentuava ogni giorno di più e che non raramente metteva contro gli stessi operai. E le cose non migliorarono neppure al termine della stessa guerra.

di Roberto Pagnanini

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